Cardinale Zuppi: “Non c’è futuro senza il volontariato”
Feb 2025 • Home, Notizie / Eventi
Un incontro con S.E. Cardinale Matteo Maria Zuppi sul senso profondo di questo Giubileo 2025, del volontariato che costruisce alleanza sociale e sul valore dell’accoglienza che caratterizza la comunità di volontari del progetto Vol. A in Rete. «La vostra accoglienza darà la prima nota su cui sarà facile sintonizzarsi»
Articolo di Chiara Castri, pubblicato su Reti Solidali.
«In un momento in cui i dati restituiscono una fotografia sociale in cui l’io tende a soppiantare il noi, il destino dell’individuo la sorte condivisa del gruppo, le solitudini la trama delle relazioni e le comunità, e in cui il volontariato fatica a coinvolgere e a rinnovarsi, Vol.A in Rete si fa azione concreta di quell’alleanza sociale per la speranza invocata dal Santo Padre per questo anno giubilare». Così Cristina De Luca, presidente CSV Lazio durante l’incontro di questa mattina con Sua Eminenza Cardinale Matteo Maria Zuppi sul senso profondo di questo Giubileo 2025 e il valore dell’accoglienza che caratterizza la comunità di volontari del progetto realizzato da CSV Lazio e Forum Terzo Settore Lazio e promosso dal Dipartimento Protezione Civile e Dipartimento Politiche Sociali e Salute presso l’Assessorato Politiche sociali e Salute di Roma Capitale. «Non c’è futuro senza il volontariato», ha sottolineato con convinzione sua Eminenza il Cardinale Zuppi, che ha ripercorso le radici di questo Giubileo a partire da alcune parole chiave che coinvolgono e uniscono, oltre i muri delle appartenenze, delle sensibilità, delle differenze.
Eminenza, nella Bolla Spes non confundit, il Santo Padre ricorda la necessità di riscoprire la speranza – messaggio centrale di questo Giubileo – nei segni dei tempi e parla di calo della natalità; di detenuti e reinserimento sociale; di malati e disabilità; di migranti e accoglienza; di anziani e alleanza tra generazioni; di poveri. Mentre l’individualismo si contrappone al servizio, Papa Francesco sottolinea la necessità di un’alleanza sociale per la speranza. Quale allora il futuro di un volontariato che è agente di alleanze sociali, ma che oggi i dati vedono in crisi?
«Non c’è futuro senza l’impegno per gli altri, volontariato vuol dire questo. Si esprime in tante modalità, contiene ispirazioni diverse, il volontariato è donare qualcosa di sé agli altri, è occuparsi di situazioni di necessità, di povertà. Quelle, ad esempio, indicate chiaramente da Papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo. E non c’è futuro senza questo. In realtà ognuno – di suo – deve essere volontario, deve cioè occuparsi del prossimo. È davvero molto preoccupante quando, al contrario, la chiusura, la paura, un mondo di individualismo, un mondo digitale annullano, rendendolo un contatto, l’incontro con l’altro. Credo non ci sia futuro senza il volontariato».
I giovani sono per il Santo Padre rappresentanti di speranza. Hanno entusiasmo quando si attivano, ma sono fragilizzati dall’individualismo che li lascia soli a misurarsi con le complessità sociali. Il servizio per la comunità, quella che Papa Francesco chiama “carità entusiasta” può essere un antidoto alla solitudine sociale? Quale messaggio ai giovani affinché riscoprano l’entusiasmo dell’impegno per l’altro?
«Il Papa indica i giovani come uno dei segni dei tempi che deve diventare segno di speranza. Il punto è non deludere i giovani, la speranza non delude. Laddove spesse volte il mondo, gli adulti, il sistema – un tempo si sarebbe detto così, ma che cos’è poi esattamente? – non garantiscono speranza per i giovani, anzi, in molti casi, il sistema invita proprio alla delusione, alla disillusione o a cercare la speranza altrove. Non dobbiamo dimenticare tutti i giovani che negli ultimi anni sono andati in altri Paesi a cercare ciò che non trovavano nel nostro. E questo ci deve interrogare. Entusiasmo non è uscire fuori da sé, non è qualcosa di irriflesso, è avere una passione che travolge le paure, le incertezze. Credo, quindi, che gli adulti debbano garantire sicurezza, condizioni certe alla speranza propria di ciascuno. E i giovani devono poterle sfruttare, giocandosela tutta, liberandosi forse da un eccesso di istruzioni per l’uso che qualche volta infragiliscono e in certi modi medicalizzano, per cui qualunque problema ha bisogno di qualche soluzione. La passione poi ci aiuta ad affrontare e risolvere anche le situazioni in cui mancano condizioni previe o passaggi precostituiti. Si va avanti e la speranza recupera tutto. Gli adulti a volte suggeriscono nell’atteggiamento un modo privo di speranza o con così tante prudenze che, alla fine, tutto diventa complicato. Devono, invece, garantire ai giovani condizioni per cui non respirare delusione. E i giovani prendere in mano il loro futuro e credere nella speranza, che vince tutte le difficoltà».
Papa Francesco parla di fiducia in un momento storico in cui questa registra livelli minimi e la disintermediazione continua a prendere piede. Come tornare a costruire in questo senso?
«C’è fiducia se ci sono persone credibili e itinerari veri, possibili. Altrimenti si cercherà sempre una fiducia che non si troverà mai perché ci saranno sempre incertezze, difficoltà, confronto. Dobbiamo anche imparare a darci molta fiducia gli uni con gli altri e questo ci riporta al tema della speranza: speranza non è casualità, non è fatalismo, è credere che un qualcosa sarà possibile. Questo mi permette di avere una fiducia capace di andare al di là delle inevitabili difficoltà, di pagare il prezzo la speranza. Perché la speranza ha un prezzo. Qualche volta pensiamo debba essere gratuita, ma non lo è, richiede tutti noi stessi. Il fatalismo non ha prezzo. Molte volte, infatti, ci rifugiamo proprio nel fatalismo, è più facile, non dipende da noi. La speranza invece dipende da noi, ci coinvolge, richiede il nostro sforzo. La fiducia ha bisogno della speranza, dobbiamo dare molta fiducia ai giovani».
Questo Giubileo arriva in un momento storico che ha bisogno di progetti concreti di pace e si fa Giubileo di accoglienza. Come unisce i massimi sistemi della grande geopolitica internazionale e le azioni quotidianamente costruite nelle strade o nelle scuole?
«Il Giubileo è un momento di grande consapevolezza, in cui misurare sé stessi, guardare il mondo, farsi interrogare, scegliere. Quindi ricordare, ringraziare, scegliere, in un momento in cui non c’è speranza, c’è molto realismo, che qualche volta fa guardare piuttosto al passato che al futuro e non fa cercare qualcosa di nuovo. Ma, come le grandi scelte nascono sempre dalle piccole, il Giubileo è una scelta individuale, che tuttavia si connette agli altri, ci fa entrare in collegamento con gli altri. Questa è la sua bellezza e la sua grandezza: una scelta individuale, ma anche l’appartenenza ad una comunità, un camminare insieme, essere insieme pellegrini di speranza. Consapevoli che soltanto insieme ci può essere speranza, ma che dipende anche da me. Se io sono artigiano di pace, ci sarà qualche possibilità in più in un mondo così tanto inquinato da violenza, odio e guerra. Per questo il Giubileo è davvero importante e si misura con i segni dei tempi. E quello della guerra – uno dei più evidenti e più drammatici – ci provoca una vera scelta di pace».
Vol.A in Rete è una comunità eterogenea di volontari di tutte le appartenenze che arrivano per dare accoglienza diffusa ai pellegrini. Quale invito rivolgerebbe loro per impegnarsi in questo anno e che cosa augura a chi ha deciso di coinvolgersi in questa esperienza?
«Sono tantissime le persone che giungono e giungeranno a Roma per il Giubileo e i volontari per l’accoglienza hanno un ruolo importantissimo: mostrano in maniera concreta l’accoglienza della città e della Chiesa, rassicurano, orientano, aiutano, spiegano. Questa accoglienza cambia il pellegrinaggio, lo fa familiare; rende più umana la città e concreta l’alleanza sociale per la speranza. Credo che sia un bell’investimento. Per Roma, in cui si deve respirare una città umana, per la Chiesa una madre, per la città una comunità. Per i pellegrini perché questa accoglienza sarà sicuramente qualcosa che porteranno a casa con sè. L’accoglienza aiuta l’accoglienza, fa vivere in maniera più personale e più aperta, più disponibile questi momenti così importanti. Credo che sarà una ricchezza in più per chi tornerà dal pellegrinaggio e forse proverà a cercare un po’ di alleanza sociale anche nei luoghi in cui vive».